Una delle prime cose che si capisce durante un viaggio in Uzbekistan è che qui la tintarella è roba da cafoni. Lei, Tarifa, occhi a fessura e sorriso sguainato, scuote la testa, si stringe nello scialle multicolore e rincara la dose: “le donne abbronzate sono brutte . E basta”. Tutto il resto è fiato sprecato così com’è inutile provare a ribattere che anche le sopracciglia unite nel mezzo con colpi decisi di trucco non sono il massimo, che gli incisivi d’oro non troveranno mai ospitalità su Vogue, che fieri mustacchi femminili dalle nostre parti fanno rabbrividire. Qui siamo a Bukhara, nel cuore dell’Uzbekistan profondo, Tarifa ha le granitiche certezze di una adolescente che ben conosce le regole del bon ton e tanto basta: una donna non prende il sole. E se gli scialli non sono sufficienti si spalanchino gli ombrelli.

Viaggio in Uzbekistan, ragazza con ombrello per le strade di Khiva

Parasole e scialli, altro che chador e burka. Mentre mezzo mondo islamico infagotta le proprie donne nella penitenziale prigionia dei veli qui, in Uzbekistan, le donne si coprono per loro scelta. Ma non è integralismo: è vanità.

Un viaggio in Uzbekistan: sorrisi e sorprese

Insomma, materia antica e molto femminile che brilla anche negli sguardi delle stesse fanciulle che sciamano per strada, in particolare, nei giorni di festa: e che di fronte all’uomo, meglio se straniero, non abbassano certo lo sguardo. Anzi, gli occhi te li ficcano negli occhi e per i sorrisi non scelgono le mezze misure. Se poi questo non basta, senza perdersi in remore, passano alla fase due: e compunte si fermano, ti sorridono e ti apostrofano con un trillante “hallo”.

Viaggio in Uzbeksitan, matrimonio a Khiva

Poco importa che il repertorio in inglese si areni quasi subito e si ritrovino poi a cinguettare in tagiko: quello che conta è parlare, sorridere, conoscersi. In fondo, provare a capirsi. Ma, sia chiaro e sia maledetto chi pensa male, tutto questo è assolutamente candido, senza doppi fini. Per davvero.

Perché il bello di questa terra lontana, dove l’Islam è religione e non febbre, dove la tradizione dei khan conquistatori è storia e non un presente di guerra, dove ogni città è un gioiello, dove madrase e minareti paiono finti tanto sono belli, è anche nella sua gente: che al sorriso non rinuncia. E se schifa l’abbronzatura ama invece chi viene da lontano. Tarifa, certo, ma non solo. Come lei i mille ragazzi, e persino i militari, che durante un viaggio in Uzbekistan tra Bukhara e Samarcanda per strada ti salutano, ti vengono vicino, ti stringono la mano. E magari, ti fermano per chiederti una foto: da scattare abbracciati con te, fieri che uno straniero, uno col taglio degli occhi diverso, si metta in posa e sorrida. E peggio per lui se non ha almeno qualche dente d’oro.

Viaggio in Uzbekistan - Donna al al mercato di Bukhara

Un viaggio in Uzbekistan:cosa vedere nelle città del mito

Ecco perché chi decida di andare in viaggio in Uzbekistan e abbia un minimo di sana curiosità lo deve mettere in conto: verrete fermati, qualcuno vi parlerà, molti vi saluteranno. Ma pochi, pochissimi, vi stresseranno per vendervi qualcosa. Gli altri, i più, vi guarderanno fieri e consapevoli di essere i figli dei figli di Tamerlano e gli eredi dei cavalieri di Alessandro Magno che nel IV secolo qui, nell’antica Samarcanda, prese in moglie la figlia di un capo locale.

Ma ogni città in Uzbekistan ha una storia che profuma di leggenda e ogni nome vale un batticuore: Samarcanda, per dire, ma anche Bukhara o Khiva, luoghi inzuppati di miti dove svolazzano ancora i fantasmi dei mercanti della Via della Seta, terre di serragli e carovane, dove per secoli hanno galoppato razziatori di schiavi e orde di guerrieri. Quei combattenti che sembra di rivedere nel volto dei vecchi, quelli sì con la pelle abbronzata, con i lineamenti da mongoli e i sorrisi a pettine e che potrebbero ancora oggi assediare le mura arcigne dell’Ichon-Qala, il cuore antico di Khiva: da più di tre secoli chiuse a proteggere la città, che si fida pur sapendo che sono di fango. Ma non per questo sono disposte a cedere.

Viaggio in Uzbekistan, le mura di fango di Khiva

Alla scoperta di madrase e mercati

E proprio dall’alto dei bastioni color della terra è bello fare andare lo sguardo e immaginare gli eserciti che hanno solcato queste steppe, fino all’ultimo passaggio dei sovietici che hanno lasciato sgraziate tracce di sé nella capitale Tashkent, irta di palazzoni grigi e mausolei di cupezza brezneviana. Ma il resto no, il resto del paese a quell’eredità non ha voluto cedere. Per esempio a Bukhara, patria degli omonimi tappeti, la gente si ritrova ancora al tramonto intorno alla Lyabi-Hauz, una piazza costruita intorno a una delle 200 vasche che, una volta, davano acqua agli abitanti.

Qui, davanti alle facciate delle antiche madrase, oggi camerieri senza fretta vi serviranno saporiti piatti di plov, ovvero riso e verdure e uvetta, o ciclopiche porzioni di naan, il pane che pare un ciambellone, cotto in forni di terracotta che si ritrovano identici ben più a sud, nel cuore dell’ India. Quei forni che profumano l’aria nelle strade meno battute, mentre donne vestite di colore cuociono le focacce piatte che è bello sbranare, bollenti, a grandi morsi, mentre ci si perde nei mercati: come il bazar Siab di Samarcanda, un’accaldata babele di banchi, odori e sapori che non fa paura, una distesa di frutta e verdure, stoffe e gente che si accalca e si affanna.

Ma dove nella zona dei formaggi le donne vi porgeranno un cucchiaio: per farvi assaggiare che il loro yogurt fatto in casa è più buono di quello del vicino. E anche questo è un ricordo che porterete a casa per sempre dopo viaggio in Uzbekistan.

Viaggio in Uzbekistan, le venditrici al mercato di Bukhara

Viaggio in Uzbekistan. La  steppa e palazzi

Non vi basta? Allora osate l’inosabile nelle terre pudiche dell’Islam. Durante il vostro viaggio in Uzbekistan  alzate la macchina fotografica e iniziate e mettere a fuoco: la gran parte guarderà in macchina, molti si atteggeranno in posa. Tutti verranno da voi a chiedervi di sbirciare il display per vedersi. E pavoneggiarsi un po’. I più giovani e disinvolti alla fine vi scarabocchieranno da qualche parte l’indirizzo di posta elettronica: “mandami la foto” è il messaggio, “ti scriverò” è la promessa. Che avere un amico lontano, in una terra come l’Italia di cui si conosce poco se non il nome di calciatori e degli altri eroi delle sfide in Champions League è bello. E ci si può vantare con gli amici.

Sia chiaro, tutto questo si paga: si paga con un volo di sette ore per raggiungere Tashkent e poi con voli interni verso le altre piste dell’Uzbekistan su Tupolev che alla caduta del Muro erano già maggiorenni da un po’. Oppure si paga anche con trasferte lunghe su strade senza curve e senza fine che attraversano un deserto rosso o una steppa che i russi, senza fantasia ma concreti, chiamavano “della morte”. Il premio però c’è, e si vede. Sono le madrase del Registan di Samarcanda, forse il monumento più emozionante dell’Asia centrale, e sono i cortili silenziosi immersi nell’ocra della madrasa Mir-i-Arab di Bukhara, dove la scia candida di un jet in cielo sembra quasi un’offesa.

Khiva, un museo a cielo aperto

Profanazione dell’oggi a un mondo che sembra fermo a ieri. Ma il premio arriva per davvero durante il vostro viaggio in Uzbekistan una volta che a Khiva il sole è tramontato dietro il minareto Kalta Minor e le vie si sono svuotate. Allora vale la pena di ripercorrere le strade buttando l’occhio intorno, godendosi le facciate illuminate dei palazzi prima di andare a dormire nelle cellette della madrasa Mohamed Amin Khan trasformata in albergo. Fuori dalle mura la statua di Tamerlano è avvolta nelle ombre. Ma sicuramente anche lui, senza farsi accorgere, sorride.

 

Viaggio in Uzbekistan, uomo per le strade di Samarcanda