Ogni anno arrivano in tanti: un bus scalcinato lascia le spiagge da cartolina e sale i tornanti sospinto dal ritmo del reggae. Carica vite e sorrisi da tutta la regione di St. Ann. Poi, giunto a Nine Miles sbarca tutti nello slargo dello villaggio. Più si è, meglio è: allora comincia la musica. Così la Jamaica festeggia un personalissimo Natale, quello del suo profeta, Robert Nesta Marley. In arte Bob. “Era nato in febbraio”. “Anzi, in aprile”, raccontano gli anziani ammantando di ulteriore leggenda la vita di Marley. Di sicuro era il 1945 e Bob sarebbe invecchiato se ad appena 36 anni un male trascurato non lo avesse strappato alla vita terrena. In cambio ha avuto un posto nell’eternità ed è diventato parte integrante di un viaggio in Jamaica. Al ritmo del reggae.
Viaggio in Jamaica: la musica prima di tutto
Quando la moglie Rita osò proporre di trasferire la salma di Bob in Africa, secondo il pensiero Rasta, il paese fu sull’orlo di una crisi di nervi. “Marley deve restare in Jamaica”, ringhiò il popolo. E così Bob è rimasto quassù dove nacque e dove è sepolto insieme ai suoi dischi, al suo pallone e a mamma Cedella. La chiesetta bianca è un mausoleo: ma in salsa jamaicana. E quindi accanto alla tomba si accumulano casette, librerie, orti di marijuana. Intorno poi una corte dei miracoli di volti d’ebano e dreadlocks: tutti sono stati i suoi migliori amici, qualcuno sostiene che senza il suo aiuto “chissà se Bob ce l’avrebbe fatta”.
Da queste parti il piccolo Bob crebbe dopo che il padre, Naevey un ufficiale della marina britannica, abbandonò la famiglia. Nella stessa casa Marley abitò con la moglie nel tentativo di vivere lontano da Kingston. Qualcuno, ancora oggi, dirà di capirlo visto che questa città ha una meritata cattiva fama. Nonostante questo però vi conquisterà con il suo intrico di antenne, cielo, tensioni e voglia di futuro. Il bello è che tutto sembra girare al contrario: il suo centro è la zona più degradata rispetto alla periferia, ma non scoraggiatevi e sbirciate la quotidianità appesa ad un filo della gente che si accalca nella grande piazza d’armi della città.
Viaggio in Jamaica: fierezza, calcio e atletica
Vicino è la National Gallery, dove è esposta la commovente statua del “Negro aroused” che si libera dal giogo. Lo sfruttamento ha reso per secoli questo paradiso un inferno di povertà. Anche per questo gli uomini proiettili dell’atletica come Usain Bolt sono diventati i numi locali. E il reggae la lingua universale di chi si sente oppresso. Ma per noi, figli bianchi e corrotti di “Babilonia”, le lusinghe maggiori verranno da Knutsford boulevard, cuore moderno della più grande metropoli di tutti i Caraibi. Questo è il quartiere del potere e anche Bob, quando divenne famoso, doveva avere un indirizzo nel quartiere “bene” della città. Ma era Marley, non un arricchito qualunque. Lui trasformò questa casa coloniale nel quartiere generale degli Wailers: dietro gli studi di registrazione.
Davanti un cortile con sue gigantografie, dove Bob giocava a calcio, accanto al chiosco un tempo gestito dalla moglie. Che però andò poi a vivere lontano da qui perché alla corte di Bob arrivavano davvero in tanti e, soprattutto, in tante: meglio non vedere. Visitare il Bob Marley Museum con una delle sue guide cantanti è un’esperienza imperdibile: oltre ai cimeli visiterete un’altra stanza tappezzata di pagine di giornali di tutto il mondo fra cui il “Corriere della sera” del 28 maggio 1980, quando a San Siro un incredulo Pino Daniele fece da “apripista” a Bob Marley and the Wailers. Quella notte gli 80mila fumarono anche l’erba dello stadio e forse il viaggio in Jamaica per tanti italiani è iniziato quella sera.
Viaggio in Jamaica: i mitici studios
Poco oltre, su Marcus Garvey drive, ecco gli studi di registrazione Tuff gong records, creati dallo stesso Marley: mantengono il nome di allora e sono un faro per i giovani musicisti di oggi. L’ieri invece si svela nella zona degradata di Trench Town, il ghetto del ghetto. Ogni cosa è rimasta immobile, anche quel cielo intrappolato nelle maglie dei fili elettrici. Le vie sono asfaltate ma la gente mette ancora grosse pietre in mezzo alla strada. Le case sono baracche, brulicano di bambini che tirano calci al pallone. Il loro futuro, quasi sempre, è una scommessa persa. Per ritrovare la struggente suggestione di “No woman, no cry” basta bussare a qualche porta e chiedere permesso. Si svelerà un fermo immagine dei tempi di Bob: “Lui se ne stava seduto lì e mi disse che un giorno sarebbero tornati in molti da me a chiedere di lui” raccontano i molti autoproclamati custodi del ricordo.
Oggi si può venire per godere un po’ di musica (ma non ve la venderanno), ascoltare infiniti racconti e sbirciare stralunati personaggi con l’ago in mano che cuciono bordi oro-verde-rosso su canottiere “made in China”. Qualcuno di loro è stato anche ospite in festival reggae dalle nostre parti: “Me, once come to Italy: good music, great fun!” è la benedizione che ti stupisce da gente che prima della rivoluzione di Marley ha trepidato per il “Day-O” cantato dal jamaicano di Harlem, Harry Belafonte. Rum e fatica contro ganja e rabbia. Strano che un panorama così travolgente possa aver dato vita a tanta malinconia.
Viaggio in Jamaica: Negril
Si, perché la Jamaica è soprattutto bella. Tanto che la natura che ti avvolge col suo caldo patto con il sole fa sembrare che nulla di brutto possa essere mai successo qui. Per questo i turisti che scelgono di fermarsi nei resort all inclusive di Negril o Montego Bay rischiano di perdersi molto. Vedranno magari le spiagge da set cinematografico di Sant Antonio ma non assaggeranno il vero sapore spesso un po’ ruvido dell’isola. Ma è tempo di lasciare la città per l’entroterra: il viaggio in Jamaica è come il reggae: fa sobbalzare come questa strada. Il primo brivido è nella Fern Gully, “un’autostrada” di cinque km scavata nella gola di un fiume ormai scomparso, dove vegetano 500 specie di felci endemiche. Il resto del percorso, con inquietanti sorpassi in curva, sarà un saliscendi nella vita dei villaggi di montagna, fra case di guaritori, che con la loro magia bianca hanno un rimedio per qualunque male del fisico e dello spirito. Dello stomaco invece si occupano autogrill improvvisati dove si cuoce il jerk di pollo.
Alla fine della gimcana, sulla costa nord, ecco le lusinghe di Ocho Rios: alberghi ricavati da antiche piantagioni, hotel a molte stelle e mille comfort, oltre ad attrattive più rumorose come l’Island village fondato da Chris Blacknewell storico produttore di Marley e degli U2. Da Ocho Rios si possono risalire, arrampicandosi, le cascate Dunn’s river, oppure ci si può crogiolare al sole di Reggae beach dove la sera, nei fine settimana, c’è sempre qualcuno che comincia a suonare. Oppure si può andare a vedere dove emerse dalle acque, venere col coltello e bikini, Ursula Andress. Succedeva sulla spiaggia di Oracabessa dove è anche Golden eye, la villa scelta da Ian Fleming per dare vita al suo astuto James Bond.
Viaggio in Jamaica? No problem
Volete altre sorprese? Allora andate a ovest fra Whitehouse e Negril. Fotograferete i coccodrilli nel Black river e vi lancerete con le liane nelle fresche acque delle Ys river falls, un gruppo di cascate che scaturisce improvviso all’ombra di un bosco che somiglia ad un pascolo svizzero, non fosse per l’imbarazzante rumore di uno sgangherato trattore che conduce i turisti all’inizio dell’escursione.
Ma soprattutto allora, qualunque cosa farete durante il vostro viaggio in Jamaica ricordatevi il motto: “No problem, mon
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21 Gennaio 2021