Gli idoli locali sono due: Charles Darwin e George il solitario. Il primo, inutile dirlo, è il botanico inglese che sbarcando qui ebbe l’intuizione della evoluzione naturale della specie rivelando che la donna non è certo nata da una costola di Adamo. Il secondo era invece un gigante rugoso, morto quasi centenario, ultimo esemplare di una specie di tartarughe che, con la sua recente scomparsa, ora è estinta per sempre. Il soprannome “solitario” deriva da fatto che, nonostante gli sforzi degli scienziati, mai si è riuscito a farlo interessare alle femmine per riprodursi. Entrambi, Charles e George, alle Galapagos si trovano ovunque: su cartelli, manifesti, nomi delle vie, persino su francobolli e banconote anche se George è forse più gettonato. A riprova che durante un viaggio alle Galapagos, le isole che furono chiamate “incantate”, gli uomini sono importanti. Ma le tartarughe contano di più.

Viaggio alle Galapagos

Viaggio alle Galapagos, le isole fragili

Una scoperta che durante un viaggio alle Galapagos  facciamo già all’aeroporto dell’Isla Baltra – uno dei due dell’arcipelago – dopo un’ora e mezzo di volo da Quito, in Equador, volando in mezzo a nuvoloni di ovatta sporca. La pista colpisce per dove si trova – nel nulla apparente, tra gli sterpi e il mare – e per la struttura del terminal – che ha il tetto ma non le pareti. Ma in particolar modo per il gesto obbligatorio per tutti noi prima di recuperare i bagagli: disinfettarsi le suole delle scarpe. A casa si passano sullo zerbino per preservare il parquet del salotto. In un viaggio alle Galapagos il rischio è invece quello di importare alieni. Ce lo chiarisce, in versione poliglotta e con tono accorato, Felipe Cruz, uno dei biologi della Stazione scientifica Charles Darwin, santuario dei ricercatori e nursery per tartarughe grosse come utilitarie. Ma senza paraurti. “Le Galapagos sono fragili: gli organismi “d’importazione” rischiano di contaminare un ambiente restato protetto per millenni e il fatto che oggi si sia costretti ad investire migliaia di dollari per ammazzare le capre selvatiche che devastano il terreno lo dimostra”, spiega il ricercatore che snocciola cifre: le isole, nel tempo, sono state “invase” da 29 specie di animali e 526 di invertebrati non endemici che minacciano la vita naturale. Poi, per buon cuore, glissa sui centomila umani che ogni anno sbarcano in cerca di un documentario in presa diretta sotto forma di un viaggio alle Galapagos. Per chi sta ad ascoltare sentirsi invasivo e pericoloso come una capra non aiuta l’autostima.

Viaggio alle Galapagos

Eppure quando, dopo un tragitto di pochi minuti su un gommone, mettiamo piede sul grande yacht che porterà alla scoperta dell’arcipelago il senso di colpa è già svanito: il mare di Porto Ayora, porta d’accesso per turisti e centro abitato più grande delle Galapagos, è trasparente, gli uccelli disinvolti vengono a prendersi il pesce a tre spanne dal gommone, e i leoni di mare sono spaparanzati sui moli a pochi metri dai ristorantini e i negozi di magliette. Foche dal vivo e foche sulle T-shirt. L’illusione è quella di una convivenza perfetta.
Una sensazione di pace che non si infrange neppure contro l’onda lunga dell’oceano che culla la motonave La Pinta quando lascia il porto per il viaggio alle Galapagos che ci condurrà a zonzo tra la ventina di isole dell’arcipelago – di cui solo cinque abitate. Con un bicchiere di vino cileno in mano seduti sul ponte di poppa, il tramonto ci viene incontro con colori che non comprendono le mezze misure. E in controluce i pellicani che si posano sulla balaustra sembra lo facciano apposta per farsi ammirare. Inizia così una navigazione tra isole con nomi da mappa dei pirati dove però il tesoro non è sepolto: ma anzi è vivo e cammina. Dall’Isla Santa Cruz all’Isla Isabela e Fernardina, da Isla San Cristòbal a Isla Espanola, la rotta sfiora un catalogo di rocce disabitate di uomini ma affollati di piume e di gusci. E dove, per una volta, tocca a noi chiedere «permesso». “I punti di sbarco e le zone da visitare sono controllate e monitorate”, spiegano ancora i biologi del parco fondato nel 1959 a un secolo esatto dalla pubblicazione della laica bibbia locale: ovvero “L’origine della specie” di Darwin.

Viaggio alle Galapagos

Viaggio alle Galapagos, le regole della natura

“L’itinerario del viaggio alle Galapagos viene fissato rispettando le esigenze della fauna. Certe isole si visitano a rotazione, ad esempio, per evitare di stressare gli animali con la presenza degli uomini”. In altre poi non si può proprio mettere piede come in una baia sull’Isla Bartolomè, dove lo sbarco è proibito perché qui le tartarughe depongono le uova: il mare è turchese, la spiaggia color mattone, le enormi femmine scivolano verso la battigia mentre l’ombra di squali pinna bianca sfiora il battello. Sopra si inseguono le geometrie delle fregate in volo. Non è un caso ma qui anche il respiro di noi figli dell’era moderna sembra prendere un ritmo diverso.
Ma altrove, invece, mescolarsi con i padroni di casa è possibile. Anzi doveroso in un viaggio alle Galapagos. All’Isla Espanola, per scendere dal gommone, si deve fare lo slalom tra i leoni marini. Enormi, in apparenza pigri e decisamente maleodoranti questi colossi stanno stesi sul micropontile e su ogni spazio pianeggiante. Quando li scavalchiamo a malapena aprono un occhio per guardarci. Ed è una bella lezione di umiltà apparire così poco affascinanti. Assai più consolante è invece il disinteresse degli squali: lucidi e affusolati stanno parcheggiati mollemente sul fondo sabbioso di Gardner Bay, a due passi dalla riva, sotto un roccione che i leoni di mare hanno trasformato in boa per i loro giochi subacquei. Durante una rilassata seduta di snorkeling anche il meno avventuroso dei nuotatori può vedersi di colpo sfiorato da una otaria impegnata in una ricca merenda a base di pesci nel blu. Due piroette dopo la ritrovi di nuovo sulla sabbia, concentrata a dormire. Sonori grugniti rivelano che il pranzo è stato apprezzato e la pinna allungata ad abbracciare il vicino di pisolino la rende irresistibile. Verrebbe voglia di portarsene una a casa e farle spazio sul balcone.

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Viaggio alle Galapagos, dove attraccavano i bucanieri

Una febbre di souvenir che purtroppo, in passato, ha fatto molto male: per secoli queste isole sono state rifugio di bucanieri e balenieri che le hanno usate come supermarket da saccheggiare. Le enormi tartarughe, quelle più grandi sfiorano di due quintali, venivano caricate a bordo dei velieri e usate come dispensa. L’idea di ecologia doveva ancora svilupparsi e le regole le scriveva la fame. Ora tutto è diverso. E le guide naturalistiche che seguono come ombre corte ogni passo dei visitatori durante il viaggio alle Galapagos lo ricordano in continuazione: “State sempre in gruppo. Non toccate nulla. Non uscite mai dal sentiero”, sono le raccomandazioni ripetute come un mantra di cui, all’inizio, non si comprende la necessità. Ma poi quando un uccellino sfacciato, un Mimo delle Galapagos, si posa sul teleobbiettivo della macchina fotografica e inizia a picchiettarlo illuso dal riflesso che si tratti di acqua da bere si comprende il tormentone. Ma non solo i Mimi, impiccioni e assetati, ti sfiorano senza timore. Multicolori uccellini e granchi rosso semaforo, muggenti leoni marini e razze sinuose, spaventose iguane e tartarughe: ogni specie di animale qui ostenta dignità e disdegna la fuga. L’uomo per loro è solo una specie diversa. Noiosa tutt’al più nel suo accanirsi a mitragliare con la reflex. Scatti che non fanno male: e infatti gli abitanti con le squame e le pinne sotto il piccolo faro dell’isla Ràbida non hanno nessuna paura e continuano a affollarsi sulla spiaggia senza curarsi del fiatone meravigliato dei turisti arrivati da ogni dove per il loro viaggio alle Galapagos. Solo le iguane di mare, immobili a fare il pieno di caldo, sputano con convinzione. Ma non ce l’hanno con noi: è solo che il troppo sale accumulato durante le nuotate va smaltito così.

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Molto più regale è invece il comportamento degli albatros che nidificano su punta Suàrez, una scogliera a picco sul mare dove decolli e atterraggi sono più frequenti che a Fiumicino. Non a caso lo chiamano l’aeroporto degli uccelli. Camminando sul bordo della falesia si sfiorano i piccoli di albatros che, affamati, aspettano i genitori di ritorno dalle loro planate nel vento: se si trovano davanti un umano non abbassano lo sguardo. Solo spalancano il becco sperando che un bipede di passaggio regali loro una merenda imprevista.
Sotto, verso il mare, a intervalli cadenzati, un gayser ricorda a modo suo che questa è terra di vulcani ancora attivi e fuoco negli abissi mentre sopra gli albatros si fanno la corte come gli adolescenti di Prevert. Una volta sancito il vincolo, mettono su casa e sono monogami. Il loro corteggiamento, dicono gli etologi, dura mesi. E’ questione di ore invece l’attesa del primo volo di un piccolo: con le ali spiegate che sfiorano i due metri il cucciolone insicuro trema a lungo senza osare il salto nel vuoto. Prima è un batuffolo goffo, dopo, nel blu, è un simbolo di libertà. Un inno alla vita e alla potenza della natura che è compendiato nella Galapaguera, la struttura dedicata alla conservazione e alla riproduzione delle tartarughe che è il cuore di un viaggio alle Galapagos e in particolare sull’isola San Cristobal. A mezz’ora di bus dai diving e dai piccoli bar della cittadina di Puerto Basquerizo Moreno questi ciclopici souvenir dell’infanzia del mondo si muovono nella boscaglia. Al sicuro dietro le reti i piccoli vengono protetti sino ad età e stazza adeguata prima di essere reintrodotti nell’isola di appartenenza. Visti così, lunghi pochi centimetri, pare incredibile possano diventare i giganti di cui si sente cozzare il carapace poco distante. Avvicinandosi al massimo al loro muso grinzoso le tartarughe lentamente ritirano la testa. Ma nei loro occhi senza luce non c’è paura. Soltanto, a ben guardare, sembra che si chiedano dove abbiamo lasciato il nostro guscio.